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Perché migliorare Engagement e Retention conviene

Manuela Cortesi 

Content Manager

Il turnover è fisiologico, ma entro che limiti? Ogni settore ha le sue dinamiche, ma la fase di Grandi Dimissioni a cui stiamo assistendo sta diventando una vera e propria emorragia per molte organizzazioni, sia in termini di personale che economici.

Ora più che mai l’implementazione di politiche di flessibilità e welfare sul posto di lavoro non sono solo prassi virtuose per aumentare il buonumore dei collaboratori, ma diventano cruciali scelte strategiche: ci sono studi che dimostrano ampiamente come migliorare l’engagement e la fidelizzazione limiti enormemente il turnover volontario e, di conseguenza, riduca il notevole impatto economico che le dimissioni hanno sulle organizzazioni.

Rimpiazzare un dipendente costa, e anche parecchio

Secondo uno studio della Society for Human Resource Management (SHRM) ogni volta che un’impresa sostituisce un dipendente, spende in media da 6 a 9 mesi di stipendio in più all’anno. Per un manager che guadagna 50.000 dollari l’anno, si tratta dunque di circa 30-40.000 dollari in spese ulteriori di ricerca personale e formazione (1).

Abbastanza allineato a queste cifre anche lo studio di Josh Bersin (Deloitte): stima che il costo della perdita di un dipendente possa arrivare a 1,5-2 volte lo stipendio annuale. Questi costi includono l’assunzione di una nuova persona, l’onboarding, la formazione e anche un tempo stimato necessario al neo-assunto per raggiungere il picco di produttività (2).

A seconda poi del livello di anzianità dell’individuo, l’onere finanziario oscilla. È per le posizioni più tecniche che il costo può arrivare al 100-150 percento dello stipendio. Addirittura nella fascia alta, il turnover della C-suite può costare il fino al 213% dello stipendio (3).

Calcolare il costo effettivo del turnover è possibile?

Calcolare quanto costa il turnover è difficoltoso, e spesso i calcoli non sono nemmeno del tutto esaustivi. Ci sono dei fattori però evidenti e che in qualche modo possono essere misurati:

  • Il costo generico di assunzione di un nuovo collaboratore: costo degli annunci/agenzie, costo dei colloqui e dello screening, e infine costi (e tempi) per l’assunzione.
  • Spese legate all’onboarding, comprendenti la gestione amministrativa ma anche la formazione immediata necessaria.
  • Un calo della produttività: quanto è necessario al nuovo assunto per arrivare “a regime” a livello di performance? Si stimano almeno 1-2 anni, e quel calo di performance ha ovviamente un costo.
  • Costo della formazione: gli studi dimostrano che mediamente le aziende nei primi 3 anni sono costrette ad investire in formazione una cifra pari al 10-20% dello stipendio.
Valore Economico di un dipendente per l’Organizzazione nel tempo. [Fonte: Bersin di Deloitte]

I costi sommersi del turnover

Non è facile calcolare il costo reale del turnover dei dipendenti, e la maggior parte delle aziende non dispone di sistemi per tenere traccia dei costi di recruiting, interview, assunzioni, orientamento e costi amministrativi.

Ma se i fattori sopra elencati sono relativamente semplici da individuare, più complesso è calcolare invece il costo di una serie di dinamiche che inevitabilmente innesca il turnover ma che pure hanno un forte impatto sull’azienda.

Alcuni studi stimano che due terzi di tutti i costi irrecuperabili dovuti al turnover siano intangibili, inclusa la perdita di produttività e conoscenza, che però in qualche modo fa parte del costo della dimissione. La perdita di una serie di conoscenze e capacità professionali si ripercuotono immediatamente sulle performance dell’azienda, soprattutto nel caso di personale a diretto contatto coi clienti.

Le dimissioni poi influenzano innegabilmente i colleghi e il clima aziendale con una conseguente perdita di engagement: la dimissione crea un clima di sfiducia che tende a portare con sé disimpegno per chi rimane, e dunque un calo di produttività.

Perdere un’amicizia sul lavoro

Turnover per chi resta spesso significa la perdita di un amico o di un mentore all’interno della propria quotidianità lavorativa, fattore che può rivelarsi davvero impattante.

Secondo uno studio di Office Vibe, per il 70% dei lavoratori intervistati il segreto di una vita lavorativa soddisfacente è dato dall’avere una persona amica sul posto di lavoro. Sempre secondo lo stesso studio inoltre, il 50% dei dipendenti con una profonda amicizia sul lavoro ha riferito di provare un legame più forte anche con la propria organizzazione (4).

Che futuro ci aspetta?

Un’indagine di Willis Tower Watson ha rivelato che un neoassunto su tre lascerà il lavoro entro i primi 2 anni. Questo rapporto giunge però a una conclusione interessante: presto per le organizzazioni sarà conveniente modellare il posto di lavoro sulla persona, anziché selezionare la persona che più si adatterebbe al posto di lavoro (5).

Presto per le organizzazioni sarà conveniente modellare il posto di lavoro sulla persona, anziché selezionare la persona che più si adatterebbe al posto di lavoro.

Cambiare prospettiva è dunque necessario? Probabilmente sì. Una tradizionale offerta in molti casi non sarà più sufficientemente attrattiva, oppure – peggio – causerà malcontento, e dunque turnover. I responsabili delle assunzioni e in generale le organizzazioni dovranno guardare oltre l’attuale squilibrio tra domanda e offerta di lavoro e riflettere invece su cosa vogliano i lavoratori, e come coinvolgerli al meglio.

In particolare i datori di lavoro dovranno diventare più attenti a tematiche tradizionalmente sentite come secondarie rispetto a un buono stipendio. Per esempio, non si può sopravvalutare quanto possa essere determinante una cattiva leadership nel far sì che le persone se ne vadano. Secondo McKinsey, leader poco carismatici e privi di ispirazione sono cruciali nel convincere gli indecisi a dimettersi, incidendo fortemente anche sulla mancanza di sviluppo professionale (6).

Motivi che spingono alle dimissioni [Fonte: McKinsey, The Great Attrition is making hiring harder. Are you searching the right talent pools? ]

Ma per le organizzazioni ci sono buone notizie. I costi del turnover sono evitabili. Secondo il Retention Report 2017 del Work Institute condotto su 34.000 intervistati, il 75% delle cause del turnover dei dipendenti è prevenibile (7). La soluzione…? Creare una cultura aziendale in grado di rispondere appieno alle esigenze dei collaboratori. Ma da dove cominciare?

Engagement contro il turnover. Come si ingaggiano i collaboratori?

Uno studio di McKinsey si è occupato proprio di elencare e classificare i motivi di retention.
Inclusività, percezione di sicurezza, sostegno adeguato a salute e well-being sono importanti, assieme alla percezione del senso del proprio lavoro. Ma per la maggior parte delle persone ora è la flessibilità la prima in classifica tra i fattori di retention, sentita dagli intervistati come il principale fattore di fidelizzazione (6).

Retention / Attrition. I motivi [Fonte: McKinsey, The Great Attrition is making hiring harder. Are you searching the right talent pools? ]

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