Lo Smart Working: prima e dopo l’emergenza da Covid-19
I cambiamenti generati da questi anni di home working forzato sono stati svariati ma il primo fra tutti è certamente stata la consapevolezza che l’attività lavorativa di molti possa essere svolta in tempi e spazi diversi dalla propria sede di lavoro. Benchè l’esperienza vissuta durante il periodo emergenziale non possa essere definito come Vero Smart Working, il quale prevede una flessibilità di spazi e tempi diversa da ciò che si è vissuto durante i lockdown, ha messo di fronte molte organizzazioni all’evidenza che questo strumento è in grado di portare vantaggi sia all’azienda, che al lavoratore che all’ambiente. Ad esempio, nell’ambito del mercato real estate, il virtual tour immobiliare ha costituito uno strumento di marketing molto efficace in quanto ha permesso a potenziali acquirenti di effettuare visite virtuali all’immobile, annullando la necessità di recarsi fisicamente in loco.
Abbiamo sperimentato uno smart working depotenziato ma ne abbiamo tratto grandi insegnamenti: le persone ne hanno scoperto l’esistenza vivendolo in prima persona e in modo del tutto dirompente. Con una sperimentazione di massa il lavoro da remoto è diventato una pratica quotidiana per oltre 6,6 milioni di italiani che da fine febbraio 2020 hanno lavorato da casa.
Lo smart working si è rivelato uno strumento di tutela della salute e di continuità del business per molte realtà organizzative.
Prima della pandemia la quota di smart worker era residuale: prima dell’emergenza sanitaria facevano ricorso al lavoro agile il 13% delle imprese. Durante la prima fase dell’emergenza lo Smart Working ha coinvolto il 97% delle grandi imprese, il 94% delle pubbliche amministrazioni italiane e il 58% delle PMI (Fonte: Osservatorio Politecnico di Milano). Da 570.000 smart worker rilevati nel 2019 si è passati a 6,58 milioni durante il primo lockdown del 2020 (fonte INAP).
L’esperienza durante l’emergenza: cosa abbiamo compreso
Dalle nostre indagini emerge che, su un campione di 50.000 intervistati, la maggior parte delle persone sono state reattive e pronte a gestire il cambiamento: il 68% dei manager ha dichiarato che il team era pronto a lavorare a distanza. Inoltre, per il 31% dei lavoratori la qualità del lavoro durante il periodo di Smart Working è migliorata e per il 57% è rimasta costante. Per il 97% delle persone gli obiettivi lavorativi sono stati pienamente o in parte raggiunti: ci si è resi conto che lavorare al di fuori dell’ambiente canonico di lavoro, come l’ufficio, non ha impatto sul raggiungimento degli obiettivi di business, anzi.
Dall’esperienza forzata di Smart Working abbiamo scoperto che la fiducia è il vero valore fondante delle relazioni di lavoro: il lavoro da remoto ha costretto tutti a confrontarsi in maniera più trasparente e più frequente. Cosa hanno imparato i manager? Hanno imparato a dare più fiducia ai collaboratori, a delegare di più e meglio, a monitorare in modo più efficace i risultati dei propri collaboratori.
Ogni livello organizzativo ha avuto l’opportunità di costruire un contesto di fiducia e delega, lasciando ai team l’autonomia decisionale e realizzativa di spazi e tempi di lavoro. Hanno imparato a gestire il tempo, scadenze e priorità, a comunicare in modo efficace, a dare e chiedere feedback e sviluppare competenze digitali avanzate.
Attenzione all’over-work
Durante lo smart working in emergenza, tanti soggetti sono stati investiti da responsabilità crescenti: il desiderio di gratificare con l’impegno la fiducia in loro riposta, il crescente senso di responsabilità, inconsapevolmente ha generato stress e over work. Poi le persone hanno imparato ad organizzarsi, alcune organizzazioni hanno adottato nuove regole, coltivato nuove competenze e si è evoluta la fiducia.
Di solito per i responsabili dei team la sfida è più ardua in quanto devono cambiare approccio: delegare, responsabilizzare e soprattutto fidarsi. Abbiamo infatti notato dalle nostre indagini che il fenomeno dell’over work ha avuto un maggiore impatto sui manager: 1 su 4 ritiene di aver lavorato più del dovuto, mentre tra i lavoratori, la proporzione è 1 su 5.
Senz’altro la formazione può aiutare e ancor di più l’allenamento di un nuovo mindset.
E per il futuro?
Sempre dalle nostre ricerche è emerso che in media l’84% delle persone intervistate avrebbe voluto proseguire l’esperienza di Smart Working anche in futuro.
Il 37% dei lavoratori e il 48% dei manager renderebbe i giorni della settimana di Smart Working flessibili; in più il 52% degli smart worker vorrebbe lavorare da remoto più di 3 giorni a settimana.
Come è cambiata la gestione dello Smart Working in emergenza a livello normativo
Per comprendere il nuovo potenziale scenario, infatti, è opportuno fare il punto della situazione anche dal punto di vista normativo.
In Italia la disciplina di riferimento sullo Smart Working è dettata dalla Legge n. 81/2017 che lo identifica come uno strumento tramite il quale è possibile innovare il modello organizzativo e la flessibilità del lavoro. L’attivazione avviene tramite la sottoscrizione di un Accordo tra azienda e dipendente i cui contenuti principali sono: la durata, la parità di trattamento economico e normativo, la strumentazione tecnologica utilizzata, i tempi di riposo, la disconnessione e l’esercizio dei poteri datoriali.
L’arrivo dell’emergenza sanitaria ha introdotto, e più volte prorogato, il regime semplificato per l’attivazione del Lavoro Agile che consente alle organizzazioni di evitare la sottoscrizione dell’Accordo individuale, obbligatoria nel regime ordinario.